Urbanistica

Le città italiane si presentano come una tela di un quadro che il tempo ha lacerato in più punti. Il disegno raffigurato è frutto di una serie di scelte urbane e architettoniche che nel tempo si sono stratificate e che testimoniano le diverse culture che le hanno realizzate.

È possibile riconoscere le diverse epoche che si sono succedute e che hanno lasciato quasi sempre segni coerenti e ammirevoli fino al nostro tempo, il cui inizio prende le mosse dalla fine della seconda guerra mondiale. Da questo momento, la storia urbanistica delle città italiane, fondata su una pianificazione legata indissolubilmente alle esigenze specifiche del luogo, si è bruscamente interrotta. L’Urbanistica nasce infatti nel tempo moderno come una scienza capace di costruire le città con regole che “devono” essere applicate in qualsiasi luogo, a qualsiasi latitudine e su qualsiasi realtà preesistente. Appare immediatamente paradossale che le norme urbanistiche che regolano la città di Milano possano essere le stesse per il comune di Canicattì. In ogni tessuto urbano del nostro Paese è possibile individuare con facilità il perimetro entro il quale si sviluppa il centro storico, che si distingue dall’altra parte della città, quella moderna. Quest’ultima si riconosce per l’uniformità delle soluzioni, che la scienza urbana ha calato sui territori con manufatti preconfezionati e decontestualizzati. Tutto questo, sommato alla speculazione edilizia, favorita da una politica cieca ed opportunistica, ha realizzato un panorama urbano che si presenta come una cicatrice sul territorio. Al contempo lo sviluppo industriale ha subìto negli ultimi anni una decisiva contrazione, a seguito dell’apertura dei mercati nazionali al resto del mondo, per cui intere aree più o mene periferiche si sono trasformate in nuovi “spazi urbani vuoti”. Quartieri dormitorio, aree verdi pubbliche sempre meno diffuse e non attrezzate, consumo indisciplinato del suolo agricolo nelle zone periurbane, mancate infrastrutture di collegamento tra il centro e le periferie, soluzioni formali altamente discutibili della maggior parte degli edifici realizzati (case da manuale progettate da troppe figure professionali) sono solo alcuni dei macro errori commessi da pianificatori/amministratori/legislatori in nome di un’urbanistica dogmatica, sorda alle reali esigenze dei cittadini e cieca alla devastazione che si stava perpetuando ai danni della natura.

In un’intervista, realizzata nel 2003 al Centre Pompidou di Parigi, si chiedeva all’architetto Giancarlo De Carlo, appassionato sostenitore dell’architettura partecipata, chi dovesse “decidere della città”. La risposta non lasciava adito a dubbi: “l’opinione pubblica…”; e, continuando, affermava che “gli architetti hanno un ruolo importante, perché possono smuovere e alimentare questa opinione…”. Gli architetti possono molto ma non sarà possibile parlare di urbanistica sostenibile fin quando la politica non ritornerà in grado di alimentare e smuovere l’opinione pubblica verso un senso di appartenenza alla comunità. L’ascolto attivo deve essere uno degli strumenti fondamentali attraverso il quale raggiungere tre importanti obiettivi:

  • riconsegnare ad ogni cittadino la responsabilità della crescita e della conservazione della propria città;
  • alimentare quel senso civico senza il quale il rispetto dello spazio extra domestico non potrà mai realizzarsi;
  • sottrarre alla politica uno strumento di realizzazione di interessi personalistici.

Superare il metodo scientifico con il quale si sono pianificate le città dal dopoguerra in poi significa, quindi, ripensare la loro progettazione, rifacendosi ad un approccio umanistico, di cui l’ascolto attivo dei cittadini e la comprensione delle infinite differenze che presenta il panorama urbano devono rappresentare due imprescindibili elementi.

Il complesso e ricco patrimonio urbanistico italiano è composto da una piccola parte di città-metropolitane o centri di servizi e da un mosaico molto più esteso di piccole realtà localizzate soprattutto nelle zone interne, che risultano detentrici di un tesoro naturalistico e culturale inestimabile. Si impone un’attenta riflessione sugli strumenti utili alla regolamentazione degli interventi realizzabili. Così come accade nella medicina, che è sempre più protesa alla soggettivazione delle cure in considerazione delle differenze tra i pazienti, anche in ambito urbanistico gli strumenti attuativi devono avere la possibilità di considerare le enormi differenze. È necessario affrontare la questione in maniera multidisciplinare, così da avere una visione completa delle infinite variabili che la progettazione urbana impone di affrontare. Risulta necessario innanzitutto ripensare il troppo semplificativo metodo della zonizzazione, secondo il quale la città è stata pianificata in aree funzionali.  In  nome  di  questo  metodo si sono infatti realizzati quartieri che non risultano completi nei servizi e che spesso si sono tradotti in moderni ghetti, nei quali il senso di abbandono e di separazione dalla parte “buona” della città ha avuto catastrofici risvolti anche dal punto di vista sociale. Superare questo metodo significa altresì accedere a una approfondita rivalutazione del rapporto tra il costruito e la natura, tra lo spazio privato e lo spazio pubblico, tra il limite delle città e il suo intorno.

In particolare la riconsiderazione dei confini urbani permette di ripensare in maniera sostanziale l’approccio da avere su quella fascia più esterna, che rappresenta l’ideale confine tra la campagna e la città. Questa parte, che fino ad oggi ha rappresentato solo una potenziale nuova superficie di speculazione edilizia, da elemento distante e indipendente deve diventare parte integrante di quel nuovo sistema di spazi pubblici e privati che, per mezzo degli interventi previsti dal piano, realizzano una nuova forma di ecologia, influenzata tanto dalla cultura urbana quanto da quella rurale. La campagna deve riconquistare lo spazio che la città le ha sottratto, innescando con essa nuove relazioni in grado di ricomporre quel disegno unitario che la cieca fiducia nella moderna scienza urbana e la speculazione sono riuscite a frammentare.

 

La città multicentrica

Su questi presupposti si forma una nuova e rivoluzionaria idea di città, che al di là della sua dimensione demografica e territoriale si compone di una serie di nuovi CENTRI (dimensionati sulle condizioni morfologiche, demografiche di quartiere, ecc.).

Questi dovranno essere innanzitutto autosufficienti sia in termini di produzione e conservazione di beni primari (idrico, energetico, alimentare), sia in termini di servizi pubblici e privati (sistemi sanitari, educativi, ludici, ecc.), ma sempre connessi l’uno con l’altro, in maniera da creare un network funzionale, in grado di mantenere sempre in equilibrio il macro/multi sistema “città”.

Ogni CENTRO deve essere inteso non come un semplice agglomerato urbano, ma come una “comunità” di persone (con deleghe nella gestione funzionale dei quartieri) all’interno di un specifico ed unico territorio, in grado di alimentare quel senso di appartenenza, di solidarietà e di spirito civico, senza il quale la crescita e la conservazione della città non è  sostenibile.

Il modello di riferimento è quello delle tante comunità che erano il cuore pulsante delle aree interne del nostro Paese e che – anche per la scarsità di mezzi di collegamento – si rendevano il più possibile autosufficienti dai grandi centri urbani, ai quali si relazionavano solo per alcuni servizi, che non erano in grado di soddisfare.

Ogni nuovo CENTRO deve essere dotato di sistemi di produzione e accumulo di energia elettrica, prodotta da fonti rinnovabili, così come di acqua sanitaria e potabile, prodotta dalla depurazione di quella meteorica o dal trattamento di quella reflua, incentivando il sistema della fitodepurazione, così da realizzare un nuovo legame formale e funzionale con il panorama rurale.

L’acqua prodotta e accumulata – oltre a coprire un’aliquota sempre più consistente del consumo domestico – deve servire per alimentare un sistema diffuso di orti, in grado di soddisfare una parte della richiesta di generi alimentari ortofrutticoli di zona.

Nel panorama delle città italiane, i sistemi di produzione energetica, idrica e agricola, lì dove non trovassero spazi liberi utili al loro insediamento (nelle grandi città in particolare), devono essere integrati agli edifici esistenti, impegnando quella superficie, che ogni città può vantare, ma che risulta quasi mai utilizzata.

I terrazzi piani degli edifici risultano infatti essere gli spazi più adatti al collocamento dei nuovi impianti. Ogni manufatto urbano esistente o di nuova costruzione deve essere inteso come una “micro centrale produttiva”.

 

Il sistema città si compone di elementi secondari, che declinano fino al singolo edificio. 

Per questo è necessario realizzare uno screen degli edifici che compongono il panorama urbano, così da valutare quanto possa essere più opportuno favorirne una ristrutturazione o il loro abbattimento/ricostruzione. L’invecchiamento del cemento armato ed al contempo l’obsoleta concezione funzionale con cui sono stati pensati suggerisce infatti spesso, anche in termini di convenienza economica, la scelta dell’abbattimento piuttosto che quella della ristrutturazione, in quanto quest’ultima restituirebbe comunque ai suoi proprietari un edificio datato e di minor valore.

Il dimensionamento dei nuovi CENTRI è quindi valutato in considerazione:

  • dalle relazioni già esistenti e storicizzate di parti di quartieri;
  • dalla morfologia dei luoghi;
  • dal numero di edifici che possono rientrare nella catena di produzione e conservazione delle risorse primarie.

Ogni nuovo CENTRO deve essere dotato di servizi pubblici/privati in grado di soddisfare le molteplici esigenze delle famiglie residenti in quella zona, così da diminuire anche il flusso di spostamento che all’interno delle grandi città appare sempre   più insostenibile.

In particolare:

  • un sistema sanitario di primo intervento, con una specifica attenzione ai servizi di assistenza per bambini ad anziani, al quale fare riferimento prima del sistema ospedaliero centrale;
  • nuovi o implementati poli scolastici in grado di assicurare l’istruzione almeno fino a quella secondaria di primo grado, abbinati a centri sportivi, aggregativi, bibliotecari, teatrali, ecc.;
  • un razionale dislocamento degli uffici amministrativi comunali nei diversi “centri” così da favorire comunque un minimo scambio e movimentazione, garantita da un sistema di mezzi pubblici elettrici, che favorisca anche la vivacità economica a sostegno delle attività commerciali di zona.

Un sistema urbano del genere supera in un colpo il rischio di realizzare aree contraddistinte dalla carenza di servizi note come “dormitorio” in cui all’ enorme quantità di edifici solo residenziali corrisponde un vuoto funzionale e pubblico insopportabile.

Per realizzare questo progetto è necessario introdurre modelli di intervento snelli e in grado di favorire valutazioni tanto sulla grande quanto sulla piccola scala.

Un altro aspetto di grande rilievo è la progettazione delle aree verdi, che devono essere considerate non come semplici apparati decorativi, ma come elementi strutturali e funzionali nella ridefinizione delle città. Le aree con vegetazione ad alto fusto saranno trattate come veri e propri sistemi di depurazione dell’aria per cui la loro estensione sarà misurata alla maggiore o minore presenza di infrastrutture inquinanti. Un tale sistema di distribuzione delle aree verdi impone una riflessione sulla estensione delle città. La città MULTI CENTRICA può tornare a includere e implementare la presenza delle aree verdi al suo interno. La necessità di compressione spaziale del costruito si supera con una nuova e sostenibile possibilità di integrazione del costruito con il panorama rurale e naturale che lo circonda, sia dal punto di vista estetico che funzionale. Un rinnovato linguaggio formale dell’architettura che definiamo “post-urbano”, un rinnovato sistema agricolo, che compie finalmente quel tanto auspicato passaggio verso la produzione a KM zero, definiscono una nuova forma ed una nuova possibilità dimensionale delle città. Non più una macchia scura nel panorama naturale quanto un mimetico ed integrato sistema di alternanza tra artificio e natura che senza soluzione di continuità si realizza in comunione con il paesaggio che la circonda.